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Psicologia del colore
Introduzione | La vita del colore. Di che colore sei? | Il test del colore | Senso psicologico del colore | Colore ed emozioni

A cura del Prof. Ruggero Sicurelli

La vita del colore. Di che colore sei?

Molti di noi, sin da piccoli, sono stati fatti oggetto di una ricorrente domanda: "Quale colore preferisci?". Una simile richiesta può sembrare ai più oziosa quanto banale. Questa valutazione non riguarda numerosi studiosi che, negli ultimi decenni, si sono impegnati in onerosi lavori "scientifici" di respiro storico-culturale. A prima vista, può sembrare che sia del tutto inutile sapere se un soggetto preferisca un colore piuttosto che un altro. Ciò può essere vero per l'uomo della strada ma non, per limitarci ad un esempio, per il pubblicitario. Questi, in assenza di informazioni quali quella qui considerata, può a volte scivolare in imbarazzanti incidenti di percorso. D'altro canto, numerose fra le scelte che operiamo nel quotidiano dipendono dal nostro sistema di preferenze cromatiche. Il pensiero non va solo al nostro modo di porci di fronte all'offerta commerciale, ma anche alla nostra risposta agli stimoli estetici (si va dall'abbigliamento alle opere d'arte). Inoltre, se siamo degli artisti, i colori della nostra tavolozza tendono ad esprimere qualcosa di noi: in discussione c'è, per certi versi, la nostra natura psicologica profonda.

Ritornando alla domanda di partenza, occorre precisare che la mia ipotetica reazione può dipendere da numerosi fattori che possono essere o meno contingenti. La risposta 'bianco', può dipendere dal fatto che un attimo prima che mi fosse posta la domanda mi sono soffermato percettivamente su una tela bianca di Lucio Fontana, offesa da un taglio verticale. D'altro canto, posso reagire con delle risposte che possono scaturire da lontane evocazioni biografiche. In termini di scelte negate, posso per esempio odiare il bianco semplicemente perché da piccolo mi costringevano a bere il latte o perchè venivo puntualmente sgridato a tavola in quanto ero solito sporcare una tovaglia che, per l'appunto, era bianca. D'altronde, la mia passione per la Ferrari può farmi venire alla mente il colore rosso, soprattutto se un attimo fa ne ho vista sfrecciare una davanti a me.

La scelta cromatica dipende anche dagli oggetti cui essa si riferisce e che mi vengono in mente nel momento in cui mi accingo a fornire la risposta al mio interlocutore. Se penso ad una camicia il nero può non andarmi bene (soprattutto se alla spalle ho un vissuto politico di sinistra), mentre il medesimo colore può piacermi moltissimo se faccio riferimento ad un dipinto di Vedova. D'altro canto, se un negoziante mi chiede di quale colore desidero le scarpe che sto per comprare sarà alquanto difficile che mi venga in mente un rosa brillante. Infine, se sto passando un momento critico della mia vita e all'improvviso il mio terapeuta mi chiedesse qual'è il colore che mi viene in mente farei probabilmente riferimento ad una gamma cromatica che va dal grigio al nero, passando per il marrone. Diversamente andrebbero le cose se mi trovassi in un momento di grande euforia. L'azzurro, il rosso o il giallo avrebbero probabilmente il sopravvento sugli altri colori.

Malgrado simili premesse, non possiamo bollare con il termine "banali" le indagini scientifiche vertenti sul colore preferito. Quando si lavora sui grandi numeri le casualità emergenti da scelte accidentali tendono a vanificarsi per consentirci la manipolazione di dati sufficientemente oggettivi. La validità di questo assunto è dimostrata dalla significatività statistica che supporta le diverse scelte che si registrano in paesi dissimili. Indicativi sono in merito i riscontri che ci vengono offerti dallo storico francese M. Pastoreau (1987). In relazione alle coordinate spazio-temporali, l'autore nota una persistenza del blu all'apice delle scelte effettuate dalla popolazione adulta occidentale (mediamente si raggiunge il 60% delle indicazioni rilevate). Per quanto concerne l'Europa, il blu primeggia in tutti i paesi tranne che in Spagna, dove s'impone il rosso. Relativamente alle altre nazioni, le cose possono cambiare significativamente. Si pensi, per limitarci ad un solo paese -il Giappone-, al fatto che il blu non compare fra le prime scelte dei nativi, i quali rispondono con la seguente gerarchia: bianco (40%); nero (20%) e giallo (10%).

Simili differenze nei gusti cromatici possono sembrare ininfluenti per quanto concerne il vivere quotidiano. Non è così, poiché esse si riflettono in vari settori dell'agire umano. Sul versante pubblicitario, per esempio, il Giappone è costretto ad affidarsi ad un duplice codice cromatico: per gli spot diretti al pubblico interno il bianco è il colore di riferimento chiave per propagandare un determinato bene di consumo. In relazione agli stessi prodotti, i pubblicisti nipponici devono ricorrere a tinte diverse quando pensano al mercato straniero. La Canon e la Nikon, insistono nel destinare al mercato interno delle macchine fotografiche con il corpo nero, mentre per quello straniero hanno recentemente con successo puntato sul giallo, sul blu e sul rosso.

Come s'è visto, il colore non è coglibile come realtà autonoma oggettivamente determinabile. Preso a se stante non ha alcun senso. Esso può avere solo utilizzazioni. Ciò significa che la sua percezione dipende da numerosissimi fattori, a partire dagli accostamenti cromatici cui viene fatto oggetto (alcune tinte 'succhiano' il colore critico mortificandone la forza, mentre altre sortiscono l'effetto contrario). L'intensità del colore dipende anche dalla sua superficie (H.Matisse ha avuto modo di affermare che un metro quadrato di blu è più blu di un centimetro quadrato dello stesso colore). I colori, nei loro accostamenti, hanno la caratteristica di comportarsi come reciproci produttori di senso. Dal loro contrasto, inoltre, può prendere corpo un movimento insospettabile qualora si pensi a delle superfici monocrame. Quel grande esponente del fauvismo (L. Vauxcelles definì Matisse e i suoi compagni di colore "fauves" -belve-) che è Matisse esalta il colore preso per se stesso utilizzando dei toni puri, i quali riescono a capovolgere il rapporto forma/colore. Egli lascia che il colore dia ritmo a delle forme l'espressività delle quali viene, a volte, garantita da un deciso tratto nero.

In armonia con gli assunti del relativismo linguistico, vediamo i colori che percepiamo usualmente attorno a noi, che siamo in grado di nominare e che, di conseguenza, conosciamo. In altri termini, le premesse ideologiche che stanno alla base del nostro modo di guardare agli oggetti colorati che percepiamo dipende dal nostro modo di pensare a loro e, di conseguenza, di guardarli. Dopo gli studi di Newton sulla classificazione spettrale dei colori siamo in grado di apprezzare una gamma cromatica più estesa rispetto a quella che potevamo rilevare prima delle sue scoperte. D'altro canto, come osserva Pastoureau, nel medioevo l'uomo, pur avendo lo stesso nostro apparato sensoriale, in genere vedeva nell'arcobaleno solo tre colori: il rosso, il giallo-verde e l'oscuro.

Oltre alle precisazioni di cui sopra, occorre ricordare che la percezione, la denominazione e l'utilizzazione simbolica e sociale del colore sono sottoposte alla legge del relativismo culturale. Gli apprezzamenti delle tonalità di bianco che sono in grado di formulare gli eschimesi sono impensabili da noi e ancor più nel continente africano. Non vediamo oggettivamente le cose, ma le percepiamo con un occhio diverso in relazione alla nostra cultura di appartenenza. Un noto esperimento sulla percezione ricorda come un occidentale chiamato a valutare la lunghezza di due lati contigui di un quadrato, senza sapere che di un quadrato si tratta, insisterebbe sulla convinzione che vede il lato orizzontale più lungo di quello verticale. Uno zulù risponderebbe in senso opposto. Simili differenze entrano in gioco anche in relazione alla percezione cromatica.

D'altronde, i colori esprimono spesso una spinta ambivalenza significando in contesti diversi cose dissimili. Anche il polo d'attrazione simbolico, positivo o negativo, di un colore può avere una forza differente in relazione alle specificità storiche e culturali che lo concernono. Il trionfo di questo colore assicurato dalla riforma protestante ha, per esempio, rivalutato gli aspetti positivi del nero rispetto a quelli negativi. Relativamente a questi ultimi è facile venga in mente la connessione nero/morte (ciò è vero da noi, ma non nell'Africa equatoriale dove il bianco prende il posto del nero). In merito occorre però precisare che l'associazione in discussione è più recente di quanto non si sia soliti pensare. La sua radicalizzazione, nel nostro universo culturale, inizia verso nel XV secolo dopo Cristo.

Anche l'apprezzamento dei contrasti cromatici varia in ragione di precise coordinate storico-culturali. Il problema si è presentato con una sistematicità rimarchevole a partire dal XII secolo, periodo in cui nasce l'araldica. Stemmi, blasoni e bandiere si sono imposti all'insegna di una comunicazione visiva destinata a consentire un'immediata percezione della referenzialità gruppale. Gli accostamenti cromatici scelti non rispondono tanto al capriccio del principe di turno, quando a delle regole associative precise. Pastoureau ricorda come l'araldica preveda delle opzioni interessanti sette colori divisi in due gruppi: i metalli (bianco e giallo) e gli smalti (rosso, azzurro, nero, verde e porpora). La regola associativa prevede in questo caso rigorosamente l'associazione di un 'metallo' con uno 'smalto'. Da notare: nel 1986 un ricercatore si è preoccupato di valutare la persistenza di questa regola nelle 163 bandiere, relative agli stati allora indipendenti, trovando che oltre l'80% dei casi la norma era rispettata.

Prof. Ruggero Sicurelli