Incontro con i candidati
alla presidenza della Provincia
sulle problematiche della cultura e dei suoi luoghi a Treviso
Leonardo Muraro - Lorenzo Biagi
- Giorgio Panto -
Rosanna SpolaoreBruno Cesaro - Giorgio
Pirovano -
Moreno Voltarello - Claudio Vettoretti
Moderatore
Antonino Porrello
TREVISO CASA DEI CARRARESI
11 MAGGIO ORE 17.30
cantieri.tv associazione culturale
viale XV luglio 11 31100 Treviso
Lettera
aperta inviata alla stampa firmata da artisti
e persone di cultura.
I fatti parlano da soli.
L’Amministrazione Provinciale salva dalla speculazione un complesso
come l’ex ospedale di Sant’Artemio, per concentrarvi tutti
i suoi uffici, ma, per farlo, decide di vendere l’intero patrimonio
edilizio, anche di valore storico artistico, in suo possesso. Patrimonio
acquisito in decenni se non secoli.
Non è mai successo niente di simile.
Dopo la vendita del Palazzo del Prefetto siamo ad un altro stadio e
ciò che non volevamo credere è avvenuto: è stata
bandita l’asta per la vendita della villa Albrizzi-Franchetti,
e sui giornali e nella pubblica opinione la questione è ridotta
ai pettegolezzi su chi sarà il prossimo acquirente. Senza considerare
il valore intrinseco di questo monumento, la più celebre delle
ville del Terraglio, oltre che la sola di pubblica proprietà.
Una piccola reggia con le due imponenti barchesse che arretrate rispetto
al corpo centrale creano una incredibile fuga prospettica, con il più
bel ciclo di affreschi settecenteschi del territorio nella barchessa
sud (da anni abbandonati a se stessi con le finestre chiuse da tavole
da cantiere). Per non parlare del parco di tredici ettari, seppure deturpato
e da molti anni inagibile.
La stessa sorte dovrebbero subire altri gioielli come il quattrocentesco
Barco della Regina Cornaro nella campagna di Altivole e villa Freya
ad Asolo, coi resti del teatro romano all’interno del giardino.
Non sappiamo cosa è stato del convento di San Pietro sempre ad
Asolo, un tempo sede di mostre.
Parimenti non conosciamo la sorte del Palazzo del Podestà in
Piazza dei Signori destinato a divenire fino a qualche anno fa la sede
della Galleria Provinciale di Arte Contemporanea.
Le cifre che si potrebbero realizzare non ripagherebbero mai il danno
subito dalla collettività, per un valore che non può essere
quantificato in metri cubi.
Questi beni non sono da anni fruibili al pubblico e giacciono in stato
di degrado. Abbiamo l’impressione che gli attuali amministratori,
vendendoli, oltre a far cassa vogliano ottenere il risultato di liberarsi
di strutture che non sanno come gestire. Né vale la scusa che
i costi di gestione sono troppo elevati e non motivano lo scarso interesse
dimostrato verso di essi. Rispondiamo che, se adeguatamente valorizzati,
potrebbero essere le perle di itinerari culturali provinciali che attirerebbero
turisti forestieri e soprattutto locali, sempre più interessati,
se stimolati e informati, a frequentare le bellezze di casa nostra;
e fornire fonte di reddito per le spese di custodia e manutenzione.
Se possiamo realisticamente accettare che una parte del patrimonio venga
alienata per conservare tutto il resto, ci sembra che le altre dismissioni
realizzate o progettate siano già anche troppe.
Ci riferiamo alla vendita del Palazzo del Prefetto già avvenuta
e al boccone ancora più grosso del complesso di immobili della
Questura e di altri edifici nel centro storico.
Anche troppe perché a conti fatti il nuovo complesso di Sant’Artemio
ristrutturato, anche supposto che si rispettassero i costi previsti,
non varrebbe quanto il patrimonio che si va a dismettere, col risultato
che la comunità ne risulterebbe già in partenza impoverita.
Anche troppe perché nessuno ha mai chiesto e ottenuto il mandato
per farle e perché si tratta il pubblico patrimonio come un bene
di famiglia di cui liberarsi alle prime necessità.
Non accettiamo la spada di Damocle del Sant’Artemio per giustificare
le dismissioni come scelta obbligata.
Abbiamo visto negli ultimi anni la solerzia con cui questa amministrazione
si è impegnata in settori come quello della viabilità.
Si tratta di scelte politiche e culturali in base alle quali si reperiscono
risorse.
Non sta a noi trovare le soluzioni tecniche, ma non si consideri il
patrimonio storico artistico, e quindi la cultura, come l’ultima
delle variabili da rispettare. E non si torni indietro nella fruibilità
pubblica di spazi già acquisiti alla collettività.
E’ assurdo ed eticamente disdicevole che, in una provincia come
la nostra tanto ricca quanto devastata dallo sviluppo industriale ed
edilizio degli ultimi decenni, non si riesca a mantenere alla pubblica
fruibilità almeno questi pochi gioielli già acquisiti
alla collettività.